Quelle arzille vecchiette dell’autobus numero 21

Corriere Bologna MMarino 15-10-14

 

Il blog di Cira Santoro ora diventa anche un libro 

Sono simpatiche, argute, dai modi spicci. Sicuramente democratiche e di buon cuore, anche se l’amore per il prossimo certe volte diventa un po’ impiccione. Le incontrate tutte le mattine, se viaggiate con Tper. Sono le arzille vecchiette di Bologna. Cira Santoro le ha raccontate, quasi per gioco, prima in post simili all’istantanea o al bozzetto su facebook, dando il titolo L’autobus 21 e le arzille vecchiette di San Donato. Il gradimento è aumentato: allora ha staccato le brevi scenette dal proprio profilo personale e ha aperto un blog per narrare quest’epica del lungo viaggio verso Casalecchio (e direttrice del teatro). Ha premesso un’indicativa testina: “Senza le arzille vecchiette di San Donato sembra essere a Berlino. Silenzio e melting pot. E invece siamo a Bologna”. E i contatti si sono impennati, fino a 2000 al mese. Tanto che ora le vecchiette sono diventate un volume (il titolo è sempre quello) che esce oggi in libreria da  Minerva Edizioni. Realizzato a tempo di record: a luglio il primo contatto, a fine agosto il via dell’editore, a metà ottobre il libro è pronto. Questi angeli biondi o dai capelli d’argento, magari con sfumature azzurrine, con tagli corti o treccioni o pochi fili radi, parlano con un forte accento bolognese, affrontano tutti i fatti, di cronaca, di costume, dicono la loro (spesso con popolare saggezza) su tutto: dalla chiusura di Strada maggiore al rapporto da avere con migranti e zingari, alla donna ammanettata per essere salita dalla parte sbagliata sull’autobus. Parlano anche di mariti, vivi o morti, o di happy days nei quali non si può andare in centro con l’autobus. Hanno sempre non solo un’idea su tutto, ma soprattutto la curiosità, la voglia di capire. Osserva Giancarla Codrignani nell’introduzione al volume: “Cira racconta, scandito nelle sue stagioni, un anno “esemplare” di battute e considerazioni di vecchie signore che ancora testimoniano un’inventiva popolare, sapida e a volte geniale, propria della “Bologna di una volta” , quella che parlava il dialetto come se fosse la lingua”. C’è la bolognesità, ma non solo: cìè un modo diverso di guardare la vita, sagace, un po’ disincantato, un po’ affascinato, pieno di un gusto epigrammatico molto divertente.

Massimo Marino, Corriere di Bologna, martedì 15 ottobre 2015

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